Manterrupting

Fateci caso: in un dibattito pubblico o in una conversazione privata, in un programma televisivo o nei comizi politici, le donne vengono interrotte con molta più frequenza dai colleghi/amici/avversari uomini.
Durante le elezioni del 2016, Trump ha interrotto lo speech dell’avversaria Clinton 51 volte; pochi mesi fa, lo psicologo Morelli, sempre più alterato dalla piega che stava prendendo la conversazione con Michela Murgia su Radio Capital, ha cominciato ad urlare e ha zittito la giornalista con un sonoro “Taci!”.
Ridurre al silenzio una persona, una donna, è un gesto simbolico fortissimo, per questo dobbiamo guardarlo con attenzione. Zittire l’interlocutrice significa controllare la conversazione, svalutare il suo discorso e la sua persona, da ultimo significa delegittimarla. Da sempre le donne hanno fatto fatica a prendere parola: il sessismo e la cultura fortemente patriarcale hanno relegato la presenza femminile nella sfera privata. Oggi, le donne stanno conquistando spazio in quella pubblica e non a tutt* ciò sta bene.
Contrastare il Manterrupting si può e si deve: ogni volta che ci sottraggono la parola, riconquistiamola interrompendo chi ci ha interrotto e dimostrando che abbiamo capito il suo gioco e non saremo disposte a farglielo fare. Per questo, il primo passo è riconoscere il nostro valore e abbattere quelle vocine che ci ricordano che, in fin dei conti, è normale se ci dicono di star zitte. Spesso, infatti, il manterrupting va a braccetto con altri fenomeni, primo tra tutti la famigerata “sindrome dell’impostore”. Riconoscerne la pervasività è il primo passo per agire.
Abbiamo il diritto, la dignità e le competenze per far sentire la nostra voce.
Testo di Alessia Dulbecco